Rosa Balistreri

Vinni a cantari all'ariu scuvertu

Sono venuto a cantare sotto il cielo

Note

   

 

 

 

 

 

 

Sono venuto a cantare sotto il cielo

Cassamu l’attu (annulliamo l’atto), espressione attinta dal lessico legale, viene usata per ottenere una maggiore solennità.

Altri due versi di questo testo, non cantati da Rosa ma riportati nell’edizione del 1978, giustificano questo tenore:

Eh un ti curari ca sugnu picciottu

la me parola è megghiu d’un cuntrattu

 

E non ti curare che io sia giovane

la mia parola è meglio d’un contratto

 

 

L’amore che ho per voi

Testo e musica di questo brano risultano depositati alla SIAE (la Società italiana degli autori) a nome di Rosa. Tutti gli altri brani, fatta eccezione per La sicilia havi un patruni, risultano tradizionali e rielaborati  dalla stessa Rosa e da Otello Profazio.

 

 

O cuore di questo cuore

Ca ogni mancanza l’amuri un si cedi, riportato all’interno del testo nella traduzione letterale, sta per “non per questo dovrà allontanarsi il tuo amore”. Si noti, qui come in altri casi, l’anacoluto usato per una espressività simbolica e sintetica.

 

 

Chi te lo ha detto

Moru (letteralmente “muoio!”) è una esclamazione che indica una piena di sentimenti.

Scricchia (presente nel siciliano anche nella forma sgricchia e assimilato nel testo all’italiano “lacera” )  sta per “si estroflette, ne viene a nudo la parte più delicata e sensibile”. Il termine ha qui anche un assai garbato riferimento erotico.

 

 

Vorrei fare un palazzo

Firriateddu da firriatu (contornato a giro). Notare la rispettosa grazia dell’intraducibile forma vezzeggiativa.

Bedda galanti. “Galante” ha qui il significato di “fascinosa”.

Facemu li cunti (facciamo i conti) nel senso di “rompiamo gli indugi”, “non esitiamo”.

 

 

Il rispetto

Mamma vi l’haju persu lu rispettu (letteralmente “Mamma ve l’ho perso il rispetto”, di non immediata comprensione) va interpretato in relazione al verso successivo (di la finestra lu fici acchianari, cioè “dalla finestra l’ho fatto salire”) nel quale la giovane confessa di aver accolto il fidanzato in casa all’insaputa della madre. Viene qui proposta la traduzione “Mamma non vi ho rispettato”, decisamente diversa dall’interpretazione corrente che vorrebbe fosse  “Mamma non vi rispetto più” e più vicina al senso originario che dovrebbe essere “Mamma ho compromesso la vostra rispettabilità”.

Ni nni fujemu (Ce ne fuggiamo). “Fuggirsene” per una coppia d’innamorati significava mettersi a vivere more uxorio. Il susseguente matrimonio era essenzialmente una riparazione e non una festa, quindi, doveva essere fatto senza sfarzo. Per questo motivo la “fuga” o fujitina era incoraggiata dagli stessi genitori nei casi di impossibilità ad affrontare le spese di un matrimonio regolare.

In questo canto, dunque, è l’accoglimento in casa del fidanzato a rendere drammatica la fujitina comportando, quindi, la perdita della rispettabilità soprattutto per la madre della giovane.

Nachiti tunni e llariulè: intercalare senza un preciso significato.

 

E il sole vette vette

Il primo verso trae origine dall’espressione rrivari a li ntinni (propriamente “giungere alle vette”), tipica del trapanese, detta del sole prossimo al tramonto.

Nel testo ricorre più volte la forma comunemente usata nel dialetto siciliano che con la semplice ripetizione di certi  termini rende in modo estremamente sintetico ed efficace espressioni del tipo “da un posto ad un altro posto uguale” ,  “da un punto ad un altro punto dello stesso posto” ed altre simili. Qui troviamo, ad esempio, ntinni ntinni (da una vetta all’altra), mari mari (solcando il mare). Sono ricorrenti espressioni come caminari casa casa (camminare qua e là per casa), circari strati strati (cercare per le strade), passari facci facci (spalmare su tutta la faccia).

Suprastanti. “Soprastanti” e campieri erano figure di guardiani, quasi inevitabilmente mafiosi che “guardavano gli interessi” dei gabelloti (affittuari) o dei feudatari.

Il canto proviene dal trapanese ed è stato raccolto da Zelinda Ripa.

 

 

“Storia” per la morte di Lorenzo Panepinto

Lorenzo Panepinto: un maestro della scuola elementare di S. Stefano di Quisquinia (Agrigento), ucciso dalla mafia nel 1911. Egli aveva organizzato i braccianti agricoli in una Lega ed ottenuto la prima fittanza collettiva di un “ex feudo”, eliminando così lo sfruttamento parassitario dei gabelloti. È di grande interesse sociologico registrare che solo la prostituta del paese andò ad affrontare l’assassino per scoprirgli la faccia e vedere chi fosse. Essa sparì successivamente. Nessuno ne seppe più niente e la sua testimonianza ebbe a mancare al processo. La Lega e le sue donne vestite di rosso piansero Lorenzo Panepinto. Il popolo cantò questa “storia” che Rosa Balistreri ha raccolto nel 1977.

Il riferimento alla mancata accensione dei lampioni riporta il fatto accertato che proprio quella sera furono “per caso” accesi in ritardo, dopo che don Lorenzo era stato assassinato.

Ca don Lorenzu l’occhi nni grapia (che don Lorenzo ci aprisse gli occhi). La giustapposizione del “don” (che sta qui ad indicare l’appartenenza al “ceto dei civili”) e del “nni” (a noi) esprime quanto fosse inatteso che qualcuno della classe dei padroni chiarisse le idee e consigliasse bene i contadini. La stessa sofisticazione simbolica è presente in altre parti del testo.

Ognunu la so’ lingua studiava / a don Lorenzu la vita liggeva (“ciascuno meditava internamente / meditava sulla vita di don Lorenzo”, nell’edizione del 1978). Tutti avrebbero voluto fare un’orazione funebre, ma tutti temevano (i due versi originari sono immensamente espressivi in questo senso). L’orazione fu fatta. Fu fatta da un altro “don”, anch’egli dal lato dei contadini: don Ignazio Attardi, il medico che li curava.

Il testo cantato da Rosa resta particolarmente intenso seppure mancante di alcuni versi che, come tutto il canto,  Rosa stessa aveva raccolto.

 

Li lacrimi chi jietta dda signura

ca di lu chiantu li petri lavava:

persi lu specchiu di la vita mia

specchiu di la Sicilia chi jera!

 

A lu casteddu quant’alluttu c’era

ncapu lu cozzu di la bbrivatura

ca cci chiancinu tutti li maistrini

e li studenti tutti, già chi cc’era!

 

Li stessi morti cci ficiru largu:

chiancemmu tutti a luttu la Sicilia.

 

Le lacrime che piange quella signora

che con il pianto il selciato lavava:

ho perso lo specchio della vita mia

che era specchio della Sicilia!

 

A lu casteddu quanto lutto c’era

sull’alta piazza della fontana

chè piangono tutte le maestrine

e gli scolari che erano già tutti lì!

 

Gli stessi morti gli fecero largo:

piangemmo tutti per la Sicilia a lutto.

 

Stanotte in sogno mi venne una vecchia

La detta veni a crisciri e a mancari (i debiti vengono a crescere e a mancare). Si noti la contrapposizione apparentemente incoerente, caratteristica di un certo tipo (frosimu = arcaico e arzigogolato) di linguaggio siciliano.

 

 

Nero possente

Carinusu (da carina, “carena della nave” ma anche “colonna vertebrale dell’uomo” e più in generale “schiena”) sta per “forte di schiena ”, “dai lombi possenti”. E’ qui evidente il riferimento al vigore amatorio.