Rosa Balistreri

Vinni a cantari all'ariu scuvertu

Sono venuto a cantare sotto il cielo

Introduzione (tratta dall’edizione del 1978)

   

Un populu

mittitilu a catina

spugghiatilu

attuppaticci a vucca,

è ancora libiru.

 

Livatici u travagghiu

u passaportu

a tavola unni mancia

u lettu unni dormi,

è ancora riccu.

 

Un populu

diventa poviru e servu,

quannu ci arrobbanu a lingua

addutata  di patri:

è persu pi sempri.

 

Un popolo

mettetelo in catene

spogliatelo

tappategli la bocca,

è ancora libero.

 

Toglietegli il lavoro

il passaporto

la tavola dove mangia

il letto dove dorme,

è ancora ricco.

 

Un popolo

diventa povero e servo

quando gli rubano la lingua

ricevuta dai padri:

è perso per sempre.

 

 

 

Dialetto dunque, come commentava Pasolini alla lettura di questa bellissima poesia di Ignazio Buttitta, dialetto come strumento di rifiuto della “cultura aziendale” che appiattisce brutalmente tutto. Dialetto come spazio espressivo, come rifiuto di un imborghesimento che è asservimento e che lascia, culturalmente, nella terra bruciata. Dialetto come rafforzamento comunicativo bilinguale e quindi come antiseparatismo. Dialetto come politica e storia e dialettica e cultura.

 

A conclusione della lunga serie delle sue rivoluzioni, tutte vinte, il Colonnello Aureliano Buendia aveva deciso di dedicarsi soltanto al lavoro manuale: costruiva pesciolini d’oro e non si occupava più di politica. Rosa Balistreri non fa solo pesciolini d’oro: è qui, con il vigore della sua incredibile personalità e con tutta la sua dolcezza, a portare il contenuto poetico, musicale e simbolico ed anche il significato politico e culturale di alcune tra le più vecchie canzoni d’amore siciliane.

Abbiamo visto solo recentemente il canto popolare scoperto, accettato e riproposto dalle classi dominanti. Esso è anche stato ed è troppo spesso falsificato e sfruttato consumisticamente. È vero che c’è chi si accosta ad esso in umiltà e con rispettoso spirito di ricerca. Ma è anche vero che, anche contro la falsificazione e la speculazione consumistica va prendendo corpo un meccanismo assai più infido e pericoloso, collaudato da millenni di successo: il meccanismo che trasforma una pratica rivoluzionaria, o anche solo disturbante, in una pratica privilegiante, che cioè mette in una posizione di privilegio. Attraverso questo meccanismo le classi che sono la matrice della cultura popolare vengono in pratica tenute nella loro posizione subalterna. Fattualmente e paradossalmente, vi vengono tenute solo perché impossibilitate e comunque non interessate a discutere in un linguaggio del quale percepiscono le artate complicazioni, le origini storiche ed il contenuto rivoluzionario della loro posizione subalterna. Le persone provenienti da tali classi, che per il contenuto della loro vita sono in grado di continuare in naturale purezza di linea e grandezza tale cultura (Rosa Balistreri, per riferirsi ad un caso eccezionale in molti sensi) si ritrovano a rifiutare d’istinto la pratica privilegiante del canto popolare, per immergersi in esso in tutta la loro grandezza ed elevarlo, in interezza ed armonia, ad evento artistico, culturale e politico.

La scienza forse per prima ha avuto esperienza del meccanismo attraverso il quale ogni nuova spinta che minacci antichi privilegi viene fatta diventare spinta privilegiante e quindi nuova arma in difesa dell’esistenza di una classe dominante. Il meccanismo continua a funzionare e spesso anche nell’ambito della scienza, malgrado esistano meccanismi autocorrettivi incorporati nel metodo scientifico, che  peraltro sono comune patrimonio culturale. Quando il gioco riesce occorrono altri sforzi, altri secoli, altre sofferenze.

Il mio mestiere scientifico mi mette dunque nella posizione di esperto in rivoluzioni continuamente riassorbite e riseminate. Ed è l’essere in tale posizione, oltre alla immensa stima per Rosa, che mi fa scrivere questa breve nota. Del resto questo disco dimostra la non validità in senso stretto dell’esortazione latina la calzolaio ad occuparsi solo di scarpe, cioè solo di quanto costituisce il suo mestiere. Basta ascoltare la canzone Cu ti lu dissi ca t’haju a lassari, dove la mandolinata originaria ebbe ad essere registrata con l’insostituibile aiuto artistico e culturale di un barbiere e di una bottegaia, entrambi di paese ed entrambi capaci di evocare e proporre secoli di storia e di cultura.

Sta di fatto che non mi sento né sufficientemente competente, né sufficientemente non integrato per discutere il contenuto culturale ed artistico di questo disco. D’altra parte, di fronte a Rosa Balistreri, di fronte al suo cantare, credo che si possa avere soltanto il privilegio di tacere ed ascoltare. Magari facendo come Peter Seeger che di fronte a Huidie Ledbetter cercava disperatamente di nascondere il suo harvard upbringing, cioè l’educazione ricevuta nella più antica e raffinata Università del suo paese. Educazione che avrebbe stonato troppo e sarebbe comunque apparsa fragile ed irrilevante a paragone degli anni di carcere, del dolore e della personalità immensa di quel sottoprivilegiato Negro del Sud che, come Rosa Balistreri, faceva diventare evento artistico culturale e politico ogni “pesciolino d’oro” delle sue canzoni.

Ugo Palma