Rosa Balistreri

Amore, tu lo sai, la vita è amara

Introduzione (tratta dall’edizione del 1972)

   

Rosa Balistreri è nata a Licata in provincia di Agrigento. È vissuta per circa 20 anni a Firenze. Dal 1971 si è trasferita a Palermo.

Ha cominciato a cantare nel 1966, partecipando allo spettacolo «Ci ragiono e canto» di Dario Fo. Nel 1968 ha sostenuto la parte corale ne «La rosa di zolfo» di Arlante a Catania. Oltre a cantare in numerosi teatri, fra i quali ricordiamo il Manzoni a Milano, il Carignano a Torino, il Metastasio a Prato, ha tenuto dei seminari folk in alcune università. Ha inciso il suo primo long-plain nel 1966.

 

Nessun’altra voce, come quella di Rosa Balistreri, riesce ad esprimere in senso più compiuto i toni drammatici di una Sicilia che sembra uscire gonfia di dolore e di speranze dalle modulazioni di un sentimento che commuove.

Rosa Balistreri, non più giovanissima, ha cominciato tardi a cantare e ci è arrivata per caso. Aveva per anni custodito segretamente la sua grande vocazione senza minimamente preordinarsi un piano di successo. Ma quando cominciò a cantare nella sua voce esplose la Sicilia (vibrazioni di un amore finalmente scatenato, di una passione splendida e struggente).

Rosa Balistreri veniva da Licata, uno dei paesi più poveri dell’agrigentino, dove è fatale l’esperienza del dolore, della rinuncia, ma dove al triste destino gli uomini hanno da sempre reagito con la forza di un orgoglio incomparabile.

Povera e orgogliosa, varcò anche lei i confini in cerca di fortuna. Non scelse una città industriale dove il prezzo più costante che si paga al pane è l’atrofia del cuore. Da Licata sbarcò a Firenze, dove la sua esperienza di emigrante si sarebbe maturata nel tirocinio di nuovi sacrifici, costantemente rivolta a indovinare lo scopo preciso della sua esistenza.

Quello scopo era dentro se stessa, doveva solo svolgerlo, chiarirlo, come sciogliendo le corde di un intimo bagaglio dove nascondeva, senza saperlo, un tesoro.

Il tesoro non tanto era la voce, quanto la proiezione nella sua memoria di tutte le canzoni che aveva ascoltato in Sicilia, in assolate campagne o in riva al mare d’Africa che corrode col vento e la salsedine la costa di Agrigento.

L’isola cantava in Lei: una voce affondata in radici di un canto senza tempo, vivo di immagini e di commozione nella persistente attualità dei pochi temi che hanno sempre alimentato il dolore e l’amore della Sicilia.

Alle spalle della Balistreri c’è la migliore tradizione della canzone che non è certamente quella altrove impiegata per i più facili consumi di un malinteso senso del folklore.

I testi da lei interpretati provengono in parte dalle raccolte del Favara, in parte li ha direttamente ripescati nell’entroterra siciliano dove le vecchie canzuni riescono ancora a ravvivare la fantasia di un popolo che vive attanagliato nelle antiche paure e sollecitato dall’antica rabbia. Sono canzoni che parlano di desideri mai avverati, pertanto hanno spesso il carattere dell’invocazione e della preghiera perché la “grazia” dell’affrancazione dalle tirannie si avveri. Da ciò deriva il carattere sacro di molte canzoni, una sacralità schietta e non ossessiva, ma bensì alleggerisce il movimento drammatico del tema che si svolge.

Ritmo, tonalità e struttura delle canzoni di Rosa Balistreri evocano un mondo che difficilmente può essere suddiviso e catalogato secondo i diversi momenti dell’ispirazione (canti di invocazione, di protesta, di carcerati, di innamorati), perché le costanti della passione che li sostiene riconducono tutto all’origine di una storia umana che attraverso i secoli si è sempre ripetuta, quasi ferma nel tempo: incantata. E’ proprio questo incanto che qui rivive nelle modulazioni di una voce scavata chissà dove per completare l’atmosfera drammatica di tutto un repertorio.

Di Rosa Balistreri è stato detto fra l’altro che può essere considerata la Amalia Rodriguez della Sicilia: un paragone che la esalta, nella misura in cui riesce a partecipare nel difficile contesto di tutta la musica popolare il cuore di un’isola che non ha mai finito di soffrire e di amare.

Melo Freni